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venerdì 10 gennaio 2020

La ricostituzione del Partito Coloniale francese

Eletto presidente per ripiego dopo l’arresto di Dominique Strauss-Khan, François Hollande ignorava le funzioni proprie del presidente della repubblica, sicché si affidò agli alti funzionari. Seguendo le loro istruzioni proseguì la politica del predecessore. In politica estera riprese i dossier in corso senza però tener conto della svolta di fine mandato di Nicolas Sarkozy. I fautori di una nuova epopea coloniale si compattarono al suo seguito.
| Damasco (Siria)
Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Si veda l’indice.
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François Hollande pone il proprio quinquennato sotto gli auspici di Jules Ferry (1832-1893), il socialista teorico della colonizzazione francese.

FRANÇOIS HOLLANDE E IL RITORNO DEL PARTITO DELLA COLONIZZAZIONE

Ma Sarkozy perde le elezioni presidenziali. Quando lascia l’Eliseo, comincia a essere stipendiato dal Qatar con 3 milioni di euro l’anno e lo rappresenta, per esempio, nel consiglio di amministrazione del gruppo alberghiero Accor.
Benché sia stato eletto sotto l’egida del partito socialista, François Hollande governa a nome del “partito della colonizzazione” [1]. Dopo un anno e mezzo di mandato, annuncia ai suoi elettori – lasciandoli a bocca aperta – che non è un socialista, bensì un socialdemocratico. In realtà tutto è chiaro fin dal giorno in cui assume la carica: come i suoi predecessori, sceglie per la propria cerimonia d’investitura gli auspici di una personalità storica, nello specifico Jules Ferry (1832-1893). Certo, quest’ultimo aveva reso gratuita la scuola primaria, ma al tempo era estremamente impopolare ed era soprannominato “il Tonchinese”. Ferry difese infatti gli interessi dei grandi gruppi industriali in Tunisia, in Tonchino e in Congo, trascinando la Francia in avventure razziste e coloniali. Contrariamente all’opinione comune, il suo interesse per l’istruzione primaria non era rivolto all’educazione dei bambini, ma alla loro preparazione come soldati per la colonizzazione. È per questo che i suoi insegnanti erano definiti “hussard noirs”.

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Il socialista Jules Ferry (al centro, con i favoriti) ha teorizzato il diritto dei «popoli superiori» a «civilizzare» i «popoli inferiori». Ha capeggiato il “Partito coloniale”, lobby trasversale degli interessi coloniali. Ha istituito la scuola pubblica gratuita e obbligatoria per sottrarre i bambini all’influenza del clero e farne buoni soldati.
Può sembrare una forzatura parlare di “colonizzazione francese” a proposito di François Hollande, visto che l’espressione sembra ormai obsoleta. Spesso se ne fraintende il significato, perché viene erroneamente associata alla colonizzazione in senso stretto quando si tratta, in realtà, di un concetto anzitutto economico. Nel XIX secolo, mentre i contadini e gli operai resistevano, fino a morirne, ai padroni che li sfruttavano spudoratamente, alcuni di questi ebbero l’idea di occuparsi dei propri profitti a scapito di popoli meno organizzati. Per portare a termine il loro piano modificarono sia il mito nazionale, sia l’organizzazione laica dello Stato per strappare il popolo all’influenza delle chiese.
Giungendo all’Eliseo, Hollande sceglie come primo ministro Jean-Marc Ayrault, considerato un uomo assennato che però ha già perorato la causa della colonizzazione della Palestina. È presidente onorario del Cercle Léon Blum, un’associazione creata da Dominique Strauss-Kahn per raccogliere i sionisti nel partito socialista.
Nel 1936 il primo ministro Léon Blum promise al movimento sionista di creare lo Stato d’Israele nel Libano e nella Siria, allora sotto mandato francese [2].
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Già nel 1991, quando era primo ministro, Laurent Fabius non aveva manifestato particolare sollecitudine per la vita altrui.
Hollande nomina Laurent Fabius come ministro degli Esteri. In precedenza i due sono stati rivali, ma Fabius ha negoziato con l’emiro del Qatar e con Israele l’appoggio alla campagna elettorale [3]. È un uomo senza ideali, che cambia più volte opinione su questioni importanti quando se ne presenta l’opportunità. Nel 1984, durante la sua carica di premier, vengono infettati duemila emofiliaci – che poi moriranno – per tutelare gli interessi dell’Istituto Pasteur, il cui test sull’AIDS non è ancora pronto. Grazie all’intervento di François Mitterrand che modifica le regole procedurali, viene rilasciato dalla Corte di giustizia della Repubblica in quanto “responsabile ma non colpevole”. Al suo posto sarà condannato il ministro della Salute, Edmond Hervé.
Come ministro della Difesa, Hollande sceglie l’amico Jean-Yves Le Drian. Anni prima hanno sostenuto entrambi il presidente della Commissione europea, Jacques Delors, all’interno del partito socialista. Nel corso della campagna elettorale Le Drian, a nome di Hollande, è andato in visita a Washington, dove ha promesso fedeltà all’impero statunitense.
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Benché di estrema destra, il generale Benoît Puga esercita una forte influenza sul presidente socialista François Hollande.
Inoltre, con una decisione senza precedenti, il presidente Hollande lascia al suo posto il capo di Stato maggiore del suo predecessore, il generale Benoît Puga. L’ufficiale è più vecchio di lui e condivide gli ideali di estrema destra del padre del presidente. Ha il privilegio di poter entrare nel suo ufficio in qualsiasi momento e a lui lo unisce un rapporto quasi paterno.
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Il prefetto Édouard Lacroix (1936-2012) fu direttore generale della Polizia Nazionale (1993), in seguito direttore di gabinetto del ministro dell’Interno Charles Pasqua (1994-1995). Fu negoziatore tra Claude Guéant e Muammar Gheddafi, prima di essere assassinato su istruzione di François Hollande.
Per prima cosa François Hollande fa il punto sulla situazione della Libia. La Jamahiriya ha un tesoro stimato in 150 miliardi di dollari almeno, e ufficialmente la NATO ne ha bloccato circa un terzo. Che ne è del resto? I gheddafisti credono di poterli usare, nel lungo periodo, per finanziare la resistenza. Ma, ad aprile, il prefetto Édouard Lacroix – che ha avuto accesso a una parte di tali investimenti – muore improvvisamente di “cancro fulminante” [4], mentre l’ex ministro del petrolio Shukri Ghanem viene trovato annegato a Vienna. Verosimilmente, con la complicità passiva del ministro delle Finanze francese, Pierre Moscovici, del consigliere economico dell’Eliseo, Emmanuel Macron, e di una serie di banchieri, il Tesoro degli USA saccheggia il bottino. È il colpo del secolo: 100 miliardi di dollari [5].
All’inizio di giugno 2012 Francia e Regno Unito partecipano alla riunione del gruppo di lavoro per la ripresa economica e lo sviluppo degli “Amici della Siria”, tenutasi negli Emirati Arabi Uniti sotto la presidenza tedesca [6]. Si tratta di coinvolgere nella guerra gli Stati membri con la promessa di una contropartita. Diversi anni prima le società norvegesi InSeis Terra e Sagex si sono ufficialmente occupate della ricerca di idrocarburi in Siria. Anche se al tempo hanno sostenuto di aver rilevato 13 giacimenti di petrolio e di gas soltanto in due dimensioni, in realtà li hanno misurati in tre dimensioni e di conseguenza ne conoscono il valore. Quando Sagex viene acquisita da una società franco-statunitense quotata a Londra, Veritas SSGT, e successivamente accorpata al gruppo Schlumberger, sono tre gli Stati a entrare in possesso di quelle preziose informazioni, ma comunque non la Siria, che ne verrà a conoscenza solo nel 2013. Secondo queste ricerche, la Siria gode di un sottosuolo ricco almeno quanto quello del Qatar. Il Regno Unito fa entrare nel Consiglio nazionale siriano Usama al-Qadi, un dirigente di British Gas. Con il suo aiuto, Parigi e Londra concedono ai presenti il futuro sfruttamento di un paese che non hanno ancora conquistato.
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Il missile Bulava prende il nome da un’antica mazza d’arme slava che fungeva da bastone di maresciallo degli eserciti cosacchi.
L’Arabia Saudita si prepara a inviare un esercito a Damasco, mentre il Regno Unito prende il controllo dei media siriani. Il coordinamento delle forze è già stato testato in Giordania, in occasione dell’esercitazione Eager Lion 2012, sotto il comando degli Stati Uniti. I leader libanesi, dal canto loro, si sono impegnati a restare neutrali con la firma della Dichiarazione di Baabda [7]. La Siria, in una situazione come questa, avrebbe ceduto in fretta. Però la Russia lancia due missili intercontinentali, un Topol dalle rive del Mar Caspio e un Bulava da un sottomarino nel Mediterraneo. Il messaggio è chiaro: se l’Occidente non ha intenzione di rispettare i due veti russi e i due cinesi posti al Consiglio di sicurezza e attacca la Siria, si profila il rischio di una nuova guerra mondiale [8]. Scoppia dunque una polemica con Sergej Lavrov per capire chi si trovi “dalla parte giusta della storia” [9].
Il 30 giugno l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan – nominato dal suo successore Ban Ki-moon e dal segretario generale della Lega araba – presiede una conferenza internazionale a Ginevra sul futuro della Repubblica araba siriana. Non viene invitato alcun rappresentante siriano, né del governo né del Consiglio nazionale del paese. Gli USA e la Russia concordano sul fatto di non voler scatenare una guerra in Medio Oriente e decidono di creare un governo di unità nazionale, sotto la presidenza di Bashar al-Assad, includendo alcuni elementi del CNS. La guerra è ufficialmente finita, il mondo torna a essere “bipolare”, come durante la Guerra fredda [10].
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Pochi giorni dopo essere riuscito a trovare un accordo tra Stati Uniti e Cina sulla Siria, Kofi Annan deve fronteggiare l’arretramento degli Occidentali. Darà le dimissioni.
Solo che il segretario di Stato, Hillary Clinton, non ha alcuna intenzione di sottoscrivere la fine dell’influenza unipolare, né di rispettare la firma che, a detta sua, le è stata strappata con le minacce. In più, i ministri di Francia e Regno Unito nutrono alcune riserve sull’interpretazione del comunicato finale.
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Gli Amici della Siria credono di essersi accaparrati con Manaf Tlass un elemento di valore. Ma il giovanotto preferirà suonare il piano piuttosto che rovesciare l’amico d’infanzia Bashar al-Assad.
È a questo punto che la DGSE riesce a orchestrare la defezione del generale Manaf Tlass – amico d’infanzia del presidente al-Assad – portandolo a Parigi. Manaf viene presentato come una figura di spicco, ma in realtà è diventato generale seguendo le orme del padre, il generale Mustafa Tlass, ex ministro della Difesa. È solo un artista che non si è mai interessato alla politica. All’inizio della guerra ha negoziato un compromesso con i “rivoluzionari” per ristabilire la pace a Rastan, sua città natale, ma l’accordo è stato respinto dal presidente, cosa che lo ha enormemente infastidito. Manaf è un amico, mentre la stampa francese che – come i politici – vive solo di interessi, lo include erroneamente tra i finanziatori della Rete Voltaire [11]. A Parigi lo ricevono il padre, che vi si è trasferito al momento del suo pensionamento nel 2004; il fratello Firas, che dal Qatar dirige la costruzione dei tunnel dei jihadisti; e la sorella, molto intima con Roland Dumas e poi con il giornalista Franz-Olivier Giesbert, con il quale lavora ancora. Manaf però arriva troppo tardi per vedersi nominare presidente in esilio dalla conferenza degli “Amici della Siria”.
Intanto lo stratagemma architettato ad Abu Dhabi si rivela ben riuscito. Il 6 luglio 2012, a Parigi, 130 Stati e organizzazioni intergovernative si precipitano alla terza conferenza degli “Amici della Siria”, tutti ingolositi dall’odore del petrolio e del gas. Se una settimana prima Hillary Clinton e Sergej Lavrov hanno solennemente firmato la pace, nell’occasione una forte delegazione americana è pronta a rilanciare la guerra.
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Il criminale di guerra Abou Saleh (Brigata al-Farouk) era l’invitato speciale del presidente François Hollande (nella foto il giovane seduto di fronte a lato della tribuna, a destra).
François Hollande sale in cattedra e fa sedere al suo fianco Abu Salah, il giovane “giornalista” di France 24 fuggito con i francesi da Baba Amr. Alla fine dell’incontro, si dilunga nel congratularsi con il “rivoluzionario” davanti alle telecamere dell’Eliseo. Tuttavia, queste immagini vengono rimosse dal sito ufficiale quando faccio notare che Abu Salah è responsabile di crimini contro l’umanità, avendo preso parte al tribunale rivoluzionario dell’Emirato che ha condannato e ucciso 150 civili cristiani e alawiti.
Il discorso del presidente Hollande non è stato scritto dai suoi collaboratori, bensì in inglese a Washington, New York o Tel Aviv, e successivamente tradotto in francese [12]. Dopo aver lodato lo sforzo di Kofi Annan nell’intraprendere la giusta direzione, esclama: “Bashar al-Assad deve andarsene, bisogna formare un governo di transizione!”. Di fatto, in questo modo si modifica il significato della parola “transizione”, che nel Comunicato di Ginevra indica il passaggio dal periodo dei disordini alla pace. In questo modo si intende giustificare il passaggio dalla Siria di al-Assad e alcune istituzioni laiche d’ispirazione rivoluzionaria a un’altra Siria nelle mani dei Fratelli musulmani. L’espressione “transizione politica” sostituisce dunque quella di “cambio di regime”. Il CNS esulta e Hillary può tranquillamente esultare.
L’unanimità che caratterizza l’atteggiamento degli “Amici della Siria” è sicuramente dovuta alle speranze riguardo agli idrocarburi, ma esiste probabilmente anche un lato irrazionale. Mi torna in mente l’antico scontro tra l’Impero romano e la rete dei mercanti siriani, con la frase di Catone il Vecchio che mi risuona nelle orecchie: “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta!).
Nei giorni successivi François Hollande, David Cameron e Hillary Clinton non cessano di ripetere, come un mantra: “Bashar deve andarsene!”. In tal modo fanno proprio lo slogan delle rivoluzioni colorate (“Basta Shevardnadze!” o “Ben Ali vattene!”). Da notare che, rivolgendosi ai propri omologhi come a una folla, adesso chiamano il presidente al-Assad soltanto per nome, “Bashar”. Ma questo metodo non li porterà a nient’altro se non a dimostrare la loro impotenza.
Il 12 luglio 2012 prende avvio l’operazione “Vulcano di Damasco e terremoto della Siria”. Oltre 40 mila mercenari – provenienti da tutti i paesi arabi, addestrati dalla CIA in Giordania, inquadrati da Francia e Regno Unito e pagati dall’Arabia Saudita – attraversano il confine e si precipitano a Damasco [13].
Il ritiro dei francesi durante la liberazione di Baba Amr e l’accordo di pace firmato due settimane prima a Ginevra non sono altro che ricordi ormai sbiaditi. È l’inizio di una nuova guerra contro la Siria, questa volta portata avanti con eserciti di mercenari. Sarà decisamente più letale della precedente.
(segue…)
La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.
[1] « La France selon François Hollande », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 30 juillet 2012.
[2] Ricerca di Hassan Hamadé e documenti non ancora pubblicati.
[3] “Francois Hollande negozia con l’emiro del Qatar”, Rete Voltaire, 14 febbraio 2012.
[4] “I dettagli sulla lista dei terroristi francesi in Siria”, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 23 novembre 2015.
[5] “La rapina del secolo: l’assalto dei «volenterosi» ai fondi sovrani libici”; “Macron-Libia: la Rothschild Connection”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 22 aprile 2011 & 1 agosto 2017.
[6] « Les "Amis de la Syrie" se partagent l’économie syrienne avant de l’avoir conquise », par German Foreign Policy, Horizons et débats (Suisse) , Réseau Voltaire, 14 juin 2012.
[7] « Déclaration de Baabda », Réseau Voltaire, 11 juin 2012.
[8] “Colpi di avvertimento russi”, di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 10 giugno 2012.
[9] « Du bon côté de l’Histoire », par Sergueï Lavrov; « Déclaration de Barack Obama à la 67e Assemblée générale de l’ONU », par Barack Obama, Réseau Voltaire, 17 juin 2012, 25 septembre 2012.
[10] « Communiqué final du Groupe d’action pour la Syrie », Réseau Voltaire, 30 juin 2012.
[11] «Le petit monde composite des soutiens au régime syrien», C. A., Le Monde, 5 juin 2012. «Syrie : quand le général dissident était l’ami de Dieudonné», Pierre Haski, Rue 89, 29 juillet 2012.
[12] « Discours de François Hollande à la 3ème réunion du Groupe des amis du peuple syrien », par François Hollande, Réseau Voltaire, 6 juillet 2012.
[13] “La battaglia di Damasco è iniziata”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 20 luglio 2012.
 

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