12 maggio 2014 mcc43
Venti? Quaranta? Di più? Quanti sono gli ultimi martiri dell’emigrazione svaniti nel mare della Libia? Il barcone era salpato martedì 7 aprile, ma poco oltre le due miglia marine il fondo è collassato causando il capovolgimento dello scafo, cinquantadue le persone tratte in salvo e dicono: “a bordo eravamo centotrenta“. Oggi un altro barcone: le navi italiane hanno salvato duecento migranti che dicono “eravamo quattrocento”.
Umanità stipata sulla carretta di un viaggio della disperazione – che preferiamo definire della speranza – a un prezzo che era tutto quanto la famiglia, talvolta il villaggio, aveva potuto mettere insieme. Migliaia di dollari, certamente, immolati alla voracità dei trafficanti di vite che mandano a morire per naufragio o per tutto quello che il viaggio comporta. Il Mediterraneo è ormai una grande tomba.
Noi non ne abbiamo idea, non immaginiamo quello che provano, subiscono, sperimentano, patiscono nei giorni e nelle notti sulla carretta, magari alla deriva senza carburante. Per riuscire a immedesimarsi occorre aver letto Mare Nero, il romanzo di Gianni Paris. Piccolo l’editore, l’autore a quel tempo ancora di nicchia, una distribuzione iniziale attraverso gli immigrati per le vie delle città, ma a dispetto di tutto questo Mare Nero è cresciuto a successo editoriale che sfiora le centomila copie vendute. Ce n’era bisogno, dunque. Qualcuno ha scritto “Se l’Europa fosse una cosa appena decente, la lettura di questo libro sarebbe obbligatoria in tutte le scuole.” Paris descrive in modo vivido ciò che la professione di avvocato gli ha permesso di conoscere a fondo, risveglia il sentimento introducendoci alle condizioni concrete delle traversie. Via via fame, sete, freddo mietono vittime e gli imbarcati passano dalla pena, mitigata dal rito dei funerali e dalla preghiera, alla routine del gettare i corpi in mare, fino all’estrema miseria del non farlo più per proteggersi dal freddo notturno con i loro corpi. Sopravvivere su un barcone stipato all’inverosimile dipende dalla borsa di plastica con una bottiglia d’acqua che si svuota e un pezzo di pane. Una ricchezza tenuta stretta fino a diventare una parte del corpo. L’animo buono misura i suoi limiti se l’ultimo sorso d’acqua fa la differenza fra la propria vita e quella di un bimbo allo stremo. Si impara, da Mare Nero, a non giudicare quello che non abbiamo mai sperimentato, e a chiedersi se noi, metaforicamente “grassi” italiani, sapremmo resistere fisicamente e psicologicamente più di ventiquattro ore su quel barcone. Suppongo che nessuno di quelli che hanno letto questo libro che “non ti lascia tranquillo” parteciperebbe ancora a proteste e cortei contro i migranti.
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Questa ennesima ecatombe, dà modo al Ministro degli Interni libico Salah Mazek di minacciare l’Europa:
“Per quanto riguarda l’immigrazione clandestina, io avverto il mondo e l’Unione Europea in particolare che, se non ci appoggeranno, la Libia potrebbe decidere di agevolare l’esodo, visto che Dio ha fatto di noi il passaggio di questa alluvione di persone. La Libia ha pagato il prezzo, ora è il turno dell’Europa di pagare“.
Non manca il grottesco in questa dichiarazione, perché agevolare gli esodi asseconda gli interessi delle organizzazioni criminali che in Libia trafficano sui migranti e perché è decisamente dubbio che il Governo sia stato finora in grado di esercitare un controllo repressivo. Come i migranti sui barconi, la Libia è sempre più in alto mare.
Domenica 4 maggio il Congresso Nazionale ha tenuto una seduta per la designazione del nuovo Primo Ministro in sostituzione del premier ad interim Abdullah Al-Thinni dimissionario a causa degli attentati alla sicurezza della sua famiglia, che a sua volta sostituiva Ali Zeidan il quale, travolto dalla vicenda della Morning Glory, per sfuggire all’arresto era volato verso la sua seconda patria, la Germania. [ ved. ].
Con 113 voti, contro i 120 necessari, Ahmed Maetig, businessman di Misurata, non ce l’aveva fatta. A seduta conclusa, tuttavia, i voti mancanti e perfino uno più del necessario sono magicamente spuntati; qualche ora di proteste e tiramolla, poi tutti si sono piegati. Al momento in Libia ci sono due primi ministri: il dimissionario per gestire le questioni correnti e l’incaricato per tirare le fila della nascente compagine governativa. Sullo sfondo la consueta sequela di scontri armati, l‘assassinio di un alto funzionario dei servizi segreti a Bengasi, dove in seguito sono morti anche tre dimostranti, l’imbarazzante faccenda della corruzione nel rilascio dei visti a uomini d’affari libici, inspiegabilmente disposti a pagare 3000 euro invece dei 70 previsti, da parte dell’ambasciata maltese a Tripoli. Non manca, poi, chi definisce la Libia una Woodstock “scumbag“ (slang traducibile solo con turpiloquio) tanti sono gli Jihadisti accorsi dopo l’attacco al Consolato americano nel 2012. Domenica 11, era il giorno delle ultime votazioni del Comitato dei sessanta, incaricato di redigere la Costituzione, la stampa ancora non riporta come si è svolta la seduta. In compenso si sa dalla cronaca odierna che la seduta odierna del Congresso, all’ordine del giorno la votazione del Bilancio, è stata cancellata, che un diplomatico yemenita è stato rapito a Derna, richiesta dei rapitori 10 milioni di Dinari, e che ancora si sta trattando per la liberazione dell’Ambasciatore della Giordania rapito il 15 aprile a Tripoli [Liberato la notte del 13 maggio, contro la liberazione di un detenuto in Giordania- Una gang ha messo in ginocchio due governi - AlJazeera].
Spigolature da un elenco lungo di cui quasi nulla appare sui media italiani.
Comunque la vogliamo pensare, noi che riceviamo i migranti, il fenomeno della migrazione non si contrasta con i blocchi, i respingimenti, le prigioni. La gente si imbarca perché non può farne a meno. La causa prima delle migrazioni è legata allo squilibrio demografico-economico tra il luogo di provenienza e quello di destinazione, cui si aggiungono cause temporanee come i conflitti (ved. Siria come Palestina:una fabbrica di profughi). E’ illusorio parlare di emergenze: resteranno una costante fino a quando i paesi industrializzati occidentali continueranno a trattare l’ Africa come uno scaffale di risorse naturali a basso costo, creando ristrette oligarchie compiacenti e corrotte, sostenendo governi dittatoriali, fomentando guerre fra le etnie per poi intervenire militarmente per “portare la pace” (ved.), finendo per indebolire il sostegno popolare alle istituzioni democratiche dove esse cercano di attecchire. C’è davvero di che stupirsi e protestare se i più ardimentosi salgono sui barconi per fuggire?
Preso da: http://mcc43.wordpress.com/2014/05/12/mare-nero-gianni-paris-migranti-libia/
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