La guerra segreta in Libia (ITA+ENG)
23/01/2014 – Eric Draitser, Global Research
Le battaglie che attualmente infuriano nel sud della Libia non sono semplici scontri tribali. Invece, rappresentano la possibile nascente alleanza tra gruppi etnici neri libici e forze pro-Gheddafi intente a liberare il Paese dal governo neocoloniale installato dalla NATO. Il 18 gennaio, un gruppo di combattenti pesantemente armati ha preso d’assalto una base aerea presso la città di Sabha nella Libia meridionale, espellendo le forze fedeli al “governo” del primo ministro Ali Zaydan e occupando la base. Allo stesso tempo, iniziano a filtrare notizie dal Paese secondo cui la bandiera verde della Gran Giamahiria Araba Libica Socialista Popolare sventola su un certo numero di città nel Paese. Nonostante la scarsità di informazioni verificabili, il governo di Tripoli ha fornito solo dettagli vaghi e non confermati, una cosa è certa: la guerra in Libia continua.
Sul campo
Il primo ministro libico Ali Zaydan ha chiesto una sessione d’emergenza del Congresso generale nazionale per dichiarare lo stato di allerta nel Paese dopo la notizia della caduta della base aerea. Il primo ministro ha annunciato di aver ordinato alle truppe di sedare la ribellione nel sud, dicendo ai giornalisti che “Questo scontro continua, ma tra poche ore sarà risolto.” Un portavoce del ministero della Difesa in seguito ha affermato che il governo centrale aveva recuperato il controllo della base aerea, affermando che “Una forza è stata approntata, quindi dei velivoli sono decollati per attaccare gli obiettivi… La situazione nel sud ha dato una possibilità ad alcuni criminali… fedeli al regime di Gheddafi di sfruttarla attaccando la base aerea di Tamahind… Noi proteggeremo la rivoluzione e il popolo libico“. Oltre all’assalto alla base aerea, vi sono stati altri attacchi contro singoli membri del governo a Tripoli. L’incidente di più alto profilo è stato il recente assassinio del viceministro dell’Industria Hasan al-Drui nella città di Sirte. Anche se non è ancora chiaro se sia stato ucciso dalle forze islamiste o da combattenti della resistenza verde, il fatto inequivocabile è che il governo centrale è sotto attacco e non è in grado di esercitare una vera autorità o fornire sicurezza al Paese. Molti hanno cominciato a speculare sulla sua uccisione, secondo cui piuttosto che essere un caso isolato, è un assassinio mirato nell’ambito della resistenza in crescita in cui i combattenti verdi pro-Gheddafi sono in prima fila.
L’avanzata delle forze della resistenza verde a Sabha e altrove è solo parte di un grande e complesso piano politico e militare nel Sud, dove un certo numero di tribù e vari gruppi etnici si sono uniti contro ciò che correttamente percepiscono come loro emarginazione sociale, politica ed economica. Gruppi come le minoranze etniche Tawargha e Tubu, gruppi africani neri, hanno subito attacchi feroci dalle milizie arabe e alcun sostegno dal governo centrale. Non solo questi e altri gruppi sono vittime della pulizia etnica, ma sono sistematicamente esclusi dalla partecipazione alla vita politica ed economica della Libia. Le tensioni sono venute al pettine all’inizio del mese, quando il capo ribelle di una tribù araba, Sulayman Awlad, è stato ucciso. Invece di un’indagine ufficiale o un processo legale, le tribù Awlad hanno attaccato i loro vicini neri Tubu, accusandoli dell’omicidio. Gli scontri risultati da allora hanno ucciso decine di persone, dimostrando ancora una volta che i gruppi arabi dominanti vedono ancora i loro vicini neri come qualcosa di diverso da dei connazionali. Indubbiamente, ciò ha portato alla riorganizzazione delle alleanze nella regione, con Tubu, Tuareg ed altri gruppi minoritari neri che abitano tra sud della Libia, nord del Ciad e del Niger, ad avvicinarsi alle forze pro-Gheddafi. Se queste alleanze sono formali o meno, non è ancora chiaro, tuttavia è evidente che molti gruppi in Libia sono consapevoli che il governo della NATO non mantiene le promesse, e che qualcosa deve essere fatto.
La corsa politica in Libia
Nonostante la raffinata retorica degli interventisti occidentali su “democrazia” e “libertà” in Libia, la realtà ne è lontana, soprattutto per i libici africani che vedono il loro status socio-economico e politico ridotto con la fine della Jamahiriya di Muammar Gheddafi. Mentre questi popoli godevano di un’ampia uguaglianza politica e protezione legale nella Libia di Gheddafi, l’era post-Gheddafi li ha visti spogliati di tutti i loro diritti. Invece di essere integrati in un nuovo Stato democratico, i gruppi libici neri ne sono stati sistematicamente esclusi. Infatti, anche Human Rights Watch, un’organizzazione che ha molto contribuito a giustificare la guerra della NATO sostenendo falsamente che le forze di Gheddafi usassero lo stupro come arma e si stessero preparando a un “genocidio imminente”, ha riferito che “Il crimine contro l’umanità della pulizia etnica continua, mentre le milizie provenienti soprattutto da Misurata hanno impedito a 40000 persone della città di Tawergha di ritornare nelle loro case, da cui erano stati espulsi nel 2011.” Questo fatto, assieme a storie terribili e immagini di linciaggi, stupri e altri crimini contro l’umanità, dipinge un quadro molto cupo della vita in Libia per questi gruppi.
Nel suo rapporto 2011, Amnesty International ha documentato una serie di flagranti crimini di guerra commessi dai cosiddetti “combattenti per la libertà” in Libia che, pur essendo salutati dai media occidentali come “liberatori”, hanno colto l’occasione della guerra per massacrare libici neri così come clan e gruppi etnici rivali. Questo è naturalmente in netto contrasto con il trattamento dei libici neri sotto il governo della Jamahiriya di Gheddafi, elogiato dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite nel suo rapporto del 2011, dove osservava che Gheddafi aveva fatto di tutto per garantire lo sviluppo economico e sociale, oltre a fornire specificamente opportunità economiche e protezioni politiche ai libici neri e ai lavoratori migranti provenienti dai Paesi africani confinanti. Con ciò in mente, non c’è da meravigliarsi che nel settembre 2011 al-Jazeera abbia citato un combattente pro-Gheddafi Tuareg dire, “combattere per Gheddafi è come un figlio che combatte per il padre … [saremo] pronti a combattere per lui fino all’ultima goccia di sangue“. Mentre i Tubu e gli altri gruppi etnici neri si scontrano con le milizie arabe, la loro lotta dev’essere intesa nel contesto di una lotta continua per la pace e l’uguaglianza. Inoltre, il fatto che devono impegnarsi in questa forma di lotta armata, illustra ancora una volta un punto che molti osservatori internazionali hanno indicato fin dall’inizio della guerra: l’aggressione della NATO non aveva nulla a che fare con la protezione dei civili e dei diritti umani, ma piuttosto era un cambio di regime per interessi economici e geopolitici. Che la maggioranza della popolazione, comprese le minoranze etniche nere, stia peggio oggi che quando era sotto Gheddafi è un fatto che viene nascosto attivamente.
Neri, Verdi e la lotta per la Libia
Sarebbe presuntuoso pensare che le vittorie militari della resistenza verde pro-Gheddafi di questi ultimi giorni siano durevoli o che rappresentino un cambio irreversibile nel panorama politico e militare del Paese. Anche se decisamente instabile, il governo fantoccio neocoloniale di Tripoli è sostenuto economicamente e militarmente da alcuni degli interessi più potenti del mondo, rendendo difficile rovesciarlo semplicemente con vittorie secondarie. Tuttavia, questi sviluppi indicano un interessante cambio sul terreno. Indubbiamente vi è una confluenza tra minoranze etniche nere e combattenti verdi, come riconoscono i loro nemici delle milizie tribali che parteciparono al rovesciamento di Gheddafi, così come il governo centrale di Tripoli. Se un’alleanza formale ne emergerà, resta da vedere. Se una tale alleanza si sviluppasse però, sarebbe la svolta nella continua guerra per la Libia. Come i combattenti della resistenza verde hanno dimostrato a Sabha, possono organizzarsi nel sud del Paese dove godono di un ampio sostegno popolare. Si potrebbe immaginare un’alleanza nel sud che potrebbe controllare il territorio e possibilmente consolidare il potere in tutta la parte meridionale della Libia, creando uno Stato indipendente de facto. Naturalmente, il grido della NATO e dei suoi apologeti sarebbe che sarebbe antidemocratico e controrivoluzionario. Ciò sarebbe comprensibile in quanto il loro obiettivo di una Libia unificata asservita al capitale e il cui petrolio finanzi gli interessi internazionali diverrebbe irraggiungibile.
Bisogna stare attenti a non fare troppe ipotesi sulla situazione in Libia oggi, i dati affidabili sono difficili da trovare. Più precisamente, i media occidentali tentano di sopprimere completamente il fatto che la resistenza verde esiste, per non dire attiva e vittoriosa. Tutto ciò dimostra semplicemente, inoltre, che la guerra di Libia infuria, che il mondo l’ammetta o meno.
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Eric Draitser è fondatore di StopImperialism.com. È un analista geopolitico indipendente di New York City. Copyright © 2014 Global Research
Traduzione italiana di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/01/23/la-guerra-segreta-in-libia/
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LibyanFreePress.net Network reloaded at
http://libyanfreepress.wordpress.com/2014/01/24/8518/
English
Green Resistance & Black Libyans are freeing Jamahiriya from the neo-colonialist puppet government installed by the Zion-NATO forces
The Secret War in Libya
~ By Eric Draitser ~ Global Research ~
The battles currently raging in the South of Libya are no mere tribal clashes. Instead, they represent a possible burgeoning alliance between black Libyan ethnic groups and pro-Gaddafi forces intent upon liberating their country of a neocolonial NATO-installed government.
On Saturday January 18th, a group of heavily armed fighters stormed an air force base outside the city of Sabha in southern Libya, expelling forces loyal to the “government” of Prime Minister Ali Zeidan, and occupying the base. At the same time, reports from inside the country began to trickle in that the green flag of the Great Socialist People’s Libyan Arab Jamahiriya was flying over a number of cities throughout the country. Despite the dearth of verifiable information – the government inTripoli has provided only vague details and corroboration – one thing is certain: the war for Libya continues.
On the Ground
Libya’s Prime Minister Ali Zeidan called an emergency session of the General National Congress to declare a state of alert for the country after news of the storming of the air base broke. The Prime Minister announced that he had ordered troops south to quell the rebellion, telling reporters that, “This confrontation is continuing but in a few hours it will be solved.” A spokesman for the Defense Ministry later claimed that the central government had reclaimed control of the air base, stating that “A force was readied, then aircraft moved and took off and dealt with the targets…The situation in the south opened a chance for some criminals…loyal to the Gaddafi regime to exploit this and to attack the Tamahind air force base…We will protect the revolution and the Libyan people.”
In addition to the assault on the airbase, there have been other attacks on individual members of the government in Tripoli. The highest profile incident was the recent assassination of the Deputy Industry Minister Hassan al-Droui in the city of Sirte. Although it is still unclear whether he was killed by Islamist forces or Green resistance fighters, the unmistakable fact is that the central government is under assault and is unable to exercise true authority or provide security in the country. Many have begun speculating that his killing, rather than being an isolated, targeted assassination, is part of a growing trend of resistance in which pro-Gaddafi Green fighters figure prominently.
The rise of the Green resistance forces in Sabha and elsewhere is merely one part of larger and more complex political and military calculus in the South where a number of tribes and various ethnic groups have risen against what they correctly perceive to be their political, economic, and social marginalization. Groups such as the Tawergha and Tobou ethnic minorities, both of which are black African groups, have endured vicious attacks at the hands of Arab militias with no support from the central government. Not only have these and other groups been the victims of ethnic cleansing, but they have been systematically shut out of participation in Libyan political and economic life.
The tensions came to a head earlier this month when a rebel chief from the Arab Awled Sleiman tribe was killed. Rather than an official investigation or legal process, the Awled tribesmen attacked their black Toubou neighbors, accusing them of involvement in the murder. The resulting clashes have since killed dozens, once again demonstrating that the dominant Arab groups still view their dark skinned neighbors as something other than countrymen. Undoubtedly, this has led to a reorganization of the alliances in the region, with the Toubou, Tuareg and other black minority groups that inhabit southern Libya, northern Chad and Niger moving closer to the pro-Gaddafi forces. Whether or not these alliances are formal or not still remains unclear, however it is apparent that many groups in Libya have come to the realization that the government installed by NATO has not lived up to its promises, and that something must be done.
The Politics of Race in Libya
Despite the high-minded rhetoric from Western interventionists regarding “democracy” and “freedom” in Libya, the reality is far from it, especially for dark skinned Libyans who have seen their socioeconomic and political status diminished with the end of the Jamahiriya government of Muammar Gaddafi. While these peoples enjoyed a large measure of political equality and protection under the law in Gaddafi’s Libya, the post-Gaddafi era has seen their rights all but stripped from them. Rather than being integrated into a new democratic state, the black Libyan groups have been systematically excluded.
In fact, even Human Rights Watch – an organization which in no small measure helped to justify the NATO war by falsely claiming that Gaddafi forces used rape as a weapon and were preparing “imminent genocide” – has reported that, “A crime against humanity of mass forced displacement continues unabated, as militias mainly from Misrata prevented 40,000 people from the town of Tawergha from returning to their homes from where they had been expelled in 2011.” This fact, coupled with the horrific stories and images of lynchings, rapes, and other crimes against humanity, paints a very bleak picture of life in Libya for these groups.
In its 2011 report, Amnesty International documented a number of flagrant war crimes carried out by the so called “freedom fighters” of Libya who, despite being hailed in the Western media as “liberators”, used the opportunity of the war to carry out mass executions of black Libyans as well as rival clans and ethnic groups. This is of course in stark contrast to the treatment of black Libyans under the Jamahiriya government of Gaddafi which was praised up and down by the Human Rights Council of the United Nations in their 2011 report which noted that Gaddafi had gone to great lengths to ensure economic and social development, as well as specifically providing economic opportunities and political protections to black Libyans and migrant workers from neighboring African countries. With this in mind, is it any wonder that Al Jazeera quoted a pro-Gaddafi Tuareg fighter in September 2011 as saying, “fighting for Gaddafi is like a son fighting for his father…[We will be] ready to fight for him until the last drop of blood.”
As the Toubou and other black ethnic groups clash with Arab militias, their struggle should be understood in the context of a continued struggle for peace and equality. Moreover, the fact that they must engage in this form of armed struggle again illustrates the point that many international observers made from the very beginning of the war: NATO’s aggression was never about protecting civilians or human rights, but rather regime change for economic and geopolitical interests. That the majority of the population, including black ethnic minorities, is worse off today than they ever were under Gaddafi is a fact that is actively suppressed.
Black, Green, and the Struggle for Libya
It would be presumptuous to assume that the military victories made by the pro-Gaddafi Green resistance in recent days will be long-lasting, or that they represent an irreversible shift in the political and military landscape of the country. Though decidedly unstable, the neocolonial puppet government in Tripoli is supported economically and militarily by some of the most powerful interests in the world, making it difficult to simply overthrow it with minor victories. However, these developments do signal an interesting shift in the calculus on the ground. Undoubtedly there is a confluence between the black ethnic minorities and the Green fighters as both recognize their enemy as being the tribal militias who participated in the overthrow of Gaddafi as well as the central government in Tripoli. Whether a formal alliance emerges from this remains to be seen.
Were such an alliance to develop however, it would be a watershed moment in the continued war for Libya. As Green resistance fighters have shown in Sabha, they are able to organize themselves in the south of the country where they enjoy a large degree of popular support. One could imagine an alliance in the south that would be able to hold territory and possibly consolidate power throughout the southern part of Libya, creating a de facto independent state. Naturally, the cry from NATO and its apologists would be that this is anti-democratic and counter-revolution. This would be understandable as their goal of a unified Libya subservient to international finance capital and oil interests would become unattainable.
One should be careful not to make too many assumptions about the situation in Libya today, as reliable details are hard to come by. More to the point, Western media has attempted to completely suppress the fact that the Green resistance even exists, let alone is active and winning victories. All this simply further illustrates that the war for Libya rages on, whether the world wants to admit it or not.
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The Secret War in Libya
By Eric Draitser ~ Global Research, Url of this article
http://www.globalresearch.ca/the-secret-war-in-libya/5365906
Copyright © 2014 Global Research
Eric Draitser is the founder of StopImperialism.com. He is an independent geopolitical analyst based in New York City. You can reach him at ericdraitser@gmail.com
Fonte:
http://libyanfreepress.wordpress.com/2014/01/24/8518/
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